Un piede dentro e uno fuori: la nuova ambiguità politica in Sicilia
In Sicilia si sta consolidando una dinamica politica sempre più evidente: forze e singoli esponenti che scelgono di uscire formalmente dalla giunta, ma continuano a restare nella maggioranza. Una mossa tattica che, dietro una narrazione di responsabilità istituzionale, rivela in realtà una strategia molto più complessa — e molto meno trasparente.
Ufficialmente la scelta viene presentata come un atto di equilibrio: “non condividiamo alcune scelte, ma non vogliamo far cadere il governo.”
Una posizione che consente di prendere le distanze quando conviene, senza però assumersi il rischio di un vero strappo.
Ma nella sostanza, questa formula ha il sapore di una ambiguità costruita a tavolino.
Essere fuori dalla giunta ma dentro la maggioranza permette infatti di:
- evitare di essere associati alle decisioni più impopolari;
- conservare il potere contrattuale nei confronti del governo regionale;
- mantenere aperta la porta a nuove trattative, nomine, assestamenti e futuri ingressi nella giunta in condizioni più favorevoli.
Una sorta di “zona grigia” politica, dove si oscilla tra critica e complicità, tra opposizione di facciata e sostegno sostanziale.
Una strategia utile, certo. Ma utile a chi? Alla stabilità della Sicilia o alle convenienze personali?
Il rischio è evidente: la credibilità della politica viene sacrificata sull’altare del calcolo, e i cittadini assistono a un teatro istituzionale in cui tutto può essere contemporaneamente vero e falso. Si può essere dentro e fuori, sostenere e criticare, appoggiare e smentire — purché il proprio equilibrio di potere resti intatto.
In un momento storico in cui la Sicilia avrebbe bisogno di scelte nette, di responsabilità, di visione e di coerenza, questa ambiguità rischia di trasformarsi nell’ennesima pagina di politica tattica fine a se stessa.